Associazione Fondazione LUCIANO MASSIMO CONSOLI

22 gennaio 2021

DONNE POVERE MATTE ?

Non è una "storia"  ma la VITA DI UN ESSERE UMANO.

E se qualcuno pensa che non succeda più, NON E' VERO:  ancora ce ne sono troppe, troppo simili.  


Da Babilonia n.101, giugno 1992. per la cortesia di Mauro Caruso


INTERNATA IN MANICOMIO
Vent’anni fa, un abuso della psichiatria contro gli omosessuali.
 Di Daniela Danna

Anna, 45 anni, nata in provincia di Napoli, ci ha telefonato per raccontare la sua esperienza di ricovero forzato in un ospedale psichiatrico, e delle "cure" a cui i medici l'hanno sottoposta per farla guarire dalle sue inclinazioni  omoerotiche.

  Da allora sono passati molti anni, anni in cui si è ripresa dalle atrocità della “cura" e in cui ha smesso di considerarsi anormale. Purtroppo non le sarà più possibile ricorrere legalmente per ottenere da quegli psichiatri un risarcimento dei danni subiti, perché questi abusi cadono in prescrizione già dopo quattro anni.

  Anna trascorre l'infanzia in un paesino sulla costiera amalfitana, poche case di marinai dove si sa tutto di tutti, afflitto dalla povertà. Questo è il suo racconto: il racconto, a volte  contraddittorio, di una donna che dice di considerare l'omosessualità come un problema, come un fatto negativo, ma che pure l'ha vissuta con orgoglio senza credere a chi le diceva che una cura era necessaria e riuscendo a recuperare la serenità anche dopo i trattamenti medici subiti, e dopo aver portato su di sé per lunghi anni lo stigma sociale della devianza.

 Anna durante il suo racconto non ha mai pronunciato la "parolaccia" lesbica, preferendo descriversi in termini di "  tendenze deviate ", con il pudore di chi si trova isolato dalle donne come lei, senza aver conosciuto persone che associassero all'omosessualità dei valori positivi. 

 "Fin dall'età di 9-10 anni cominciai a provare attrazione verso le mie maestre delle elementari, e verso persone del mio stesso sesso.  Da allora per diversi anni rimasi poco formata: ero magra, spigolosa, la mia seconda sorella (sono la prima di quattro sorelle) era già molto più sviluppata di me, aveva tanti corteggiatori.  Se non hai le tue cose sei mezzo uomo e mezza donna, si diceva nel mio paese, cosa che confermava questo mio problema, e mi faceva soffrire molto.  Io provavo attrazione per quasi tutte le mie amiche e venivo segnata a dito, allontanata, perché assumevo atteggiamenti mascolini.  Difendevo le mie sorelle, ad esempio.

 Con mia madre non sapevo come parlare: era una donna autoritaria, fredda, incapace di fare un gesto affettuoso.  Aveva però un'amica intelligente e colta, con la quale mi confidai.  Lei raccontò tutto a mia madre, e la reazione di mia madre fu una tragedia. 

 Volle vedermi il sesso, cosa che fu per me un duro colpo, e poi disse: "A furia di picchiarti ti farò passare questa fissazione".  Così i miei genitori decisero di farmi ricoverare nel reparto malattie mentali del policlinico di Napoli.  

Penso che non riuscirò più a dimenticare quello che ho passato: quattro volte mi fecero l'elettroschock, e oltre a quello l'insulinoterapia (che provoca uno schock analogo).  Avevo diciannove anni e sono rimasta in ospedale due mesi e quindici giorni, che mi hanno segnata per il resto della mia vita.  C'erano le grate alle finestre, non potevo avere uno specchio, dovevo mangiare col cucchiaio, e medici e infermieri non mi vedevano come una persona, ma come una pazza, come le altre ricoverate in  quel reparto.  C'era di tutto, matte che facevano cose orribili.  Ce n'era una che mi seguiva quando andavo alla toilette, per mangiare le mie feci.

  Ho avuto delle crisi tremende per la disperazione di trovarmi rinchiusa in quel posto, e loro mi legavano mani e piedi, mi davano dei calmanti.  E dovevo assistere all'elettroshock di quelle a cui lo facevano prima di me: vedevo quelle scariche elettriche e la reazione đelle ammalate ... Quando lo facevano a me, perdevo sempre quasi tutta la mia memoria, non riconoscevo i miei parenti, non mi ricordavo assolutamente nulla.  I medici mi consideravano peggio che una puttana, anche se io ho sempre raccontato a loro i miei sentimenti nella loro profondità, e ho sempre dimostrato di essere moralmente sana.

  Mi rilasciarono dopo questi due mesi e mezzo con una diagnosi di schizofrenia.  I professori e i medici dissero alla mia famiglia che non ero ammalata, ma viziata, che dovevano trattarmi non con affetto e amore, ma con rigidità, come se mia madre non lo avesse fatto fin troppo.

  La mia vita è stata un susseguirsi di problemi, fin da piccolissima, quando a 11 mesi fui allontanata dai miei genitori.  Allora smisi di camminare, di mangiare, di parlare.  Poi nacque mia sorella, e cominciarono le crisi di gelosia, mentre mia mądre litigava con mio padre.  Fui violentata più volte da un uomo quando avevo 4-6 anni, ma non lo dissi a nessuno.  Senz'altro la causa delle mie tendenze è questa carenza affettiva, e un'educazione sessuale sbagliata: il sesso per mia madre era una cosa sporca, proibita.  Họ conosciuto altre donne come me, ma non ci ho mai voluto avere a che fare.  Se una donna ha i miei stessi problemi, io mi allontano, anche se non so se siamo noi o loro i normali.  Ho avuto due storie sentimentali, una molto conflittuale, durata cinque anni.  Con lei mi trovavo molto bene sotto il profilo sessuale, ma litigavamo sempre perché era una donna molto corteggiata, molto ammirata, e mi tradiva con gli uomini.  Alla fine la misi di fronte a una scelta, e lei per interesse è andata con un uomo.  Ne ho molto sofferto, e per dimenticarla ho iniziato a vedere un'altra signora, ma tra noi non ha mai funzionato.  Lei era stata maltrattata dal marito, aveva scelto di vivere una storia con una donna per trovare quelle attenzioni e quella delicatezza che non trovava nel marito.  Ma questa storia è finita, un po' perché io non avevo dei grandi sentimenti per questa donna, un po' perché non era una cosa ben vista dalla società, così è finita. 

Per ben 23 anni insomma mi sono portata dietro questa disgrazia, quella diagnosi di schizofrenia.  Io pensavo proprio di essere malata.  Nei momenti di crisi prendevo degli ansiolitici.  Quando non riuscivo a farmi capire dalla società, quando ero costretta a cambiare lavoro, quando sono finita in ospedale, mettevo sempre avanti questa diagnosi: io sono schizofrenica, ed è per questo che la mia vita va così male.

  Poi ho iniziato ad andare da una psichiatra, che mi ha veramente aiutata, mi ha detto che non era affatto vera la diagnosi di schizofrenia, e che quello che mi avevano fatto era un abuso che avrebbe dovuto essere punito.  Così ho cercato un modo per rivalermi del male che mi hanno fatto, ma è passato troppo tempo.  Ora ho una figlia, serena e molto equilibrata, che lavora e studia ed è a conoscenza di tutti i miei problemi.  La sua educazione sessuale l'ho fatta tutta al contrario di quella di mia madre, le ho detto che il sesso è bello, se provi dei sentimenti profondi, che il sesso è una parte dell'amore.  Ora mia madre è diventata testimone di Geova, e io l'ho persa del tutto: i testimoni di Geova non accettano l'omosessualità.

  Nell'85 mi sono sposata, pensando di sistemarmi, ma dopo tre mesi mi sono separata.  Mi resi conto che non era quella la mia vita, mi mancava la libertà di pensiero, mi sentivo in una gabbia chiusa, ed ero ancora innamorata di quella mia amica ... ".

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