Associazione Fondazione LUCIANO MASSIMO CONSOLI

30 ottobre 2015

Dedicato a Pasolini: 40 anni di ricerca della verità (parte II - Nuovi misteri)

(inchiesta pubblicata sul sito www.laici.it)

Torniamo all'intervista rilasciata da Sergio Citti nel 2005 al collega Martirano,  un servizio che diede adito a qualche speranza circa la possibilità di  aprire un nuovo 'squarcio' di verità su quanto accaduto all'idroscalo di  Ostia nella notte del 2 novembre 1975. Citti concesse l'intervista poche ore prima del programma di RaiTre 'Ombre sul giallo', condotto dalla giornalista Franca Leosini, nel corso della quale, per la prima volta Pelosi  modificò la propria versione, sostenendo che il poeta era stato  aggredito e massacrato da un gruppo di siciliani. La trasmissione fece  ovviamente scalpore, 'oscurando' l'intervista a Citti. Tuttavia, a seguito di quello 'scoop' venne aperta la terza inchiesta sul delitto Pasolini, affidata ai pm Italo Ormanni e Diana De Martino per "omicidio volontario commesso con l'aggravante della premeditazione".  Ma dalla nuova indagine non emersero elementi inediti. E, già  nell'ottobre 2005, il Gip archiviò l'inchiesta su sollecitazione degli  stessi pm. Nella richiesta si conferma il movente di un delitto commesso  unicamente da Pelosi, nell'ambito della prostituzione giovanile. Nello stesso identico giorno dell'archiviazione si spense anche Sergio Citti.  E nessuno ricordò più la sua intervista, che aveva cercato di fornire  qualche elemento di indagine maggiormente realistico. Tre anni dopo, Pino Pelosi viene nuovamente intervistato da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, due giornalisti che stavano lavorando a un libro - 'Profondo nero', edito da Chiarelettere - incentrato sul possibile collegamento tra la morte di Enrico Mattei, quella del giornalista Mauro De Mauro e quella di Pasolini. Finalmente, Pelosi si decise a chiamare in causa i fratelli Borsellino, 'rilanciando' la 'pista' politica dell'omicidio, poiché i suoi due amici erano frequentatori della sezione del Movimento sociale italiano del quartiere Tiburtino. Pelosi negò, invece, il coinvolgimento di un altro amico: Giuseppe Mastini, alias Johnny lo Zingaro. Questo nome era già emerso pochi mesi dopo la morte di Pasolini,  poiché i Carabinieri erano riusciti a infiltrare un loro uomo nel giro  della piccola malavita del Tiburtino, spacciandolo come ricettatore e  arrivando ad 'agganciare' proprio i fratelli Borsellino, i quali da giorni stavano raccontando 'ai 4 venti' di aver ucciso Pasolini insieme a Johnny lo Zingaro.  Non appena la notizia raggiunse i vertici dell'Arma, i due 'baldanzosi'  fratelli se la fecero letteralmente 'addosso' e, innanzi al magistrato,  ritrattarono. I Carabinieri, a quel punto, ipotizzarono che i Borsellino facessero parte di un modesto giro di rapinatori che aveva tentato di derubare Pasolini,  un tentativo che sarebbe poi degenerato in una rissa violenta. Si  tratta di un'ipotesi che, ogni tanto, riemerge regolarmente. Ma ciò che  qui interessa notare è il fatto che Pino Pelosi abbia deciso di 'vuotare il sacco' su Franco e Giuseppe Borsellino, ormai deceduti, mentre si sia ben guardato dal coinvolgere nella vicenda anche il Mastini,  che invece è vivo e vegeto e che risulta, ancora oggi, assai temuto tra  i 'bassifondi' della malavita romana, poiché considerato "un soggetto pericolosissimo". Eppure, basterebbe un minimo di ricerca su internet per venire a scoprire che Pelosi, Mastini e i fratelli Borsellino  si conoscevano tutti sin dall'infanzia, che erano cresciuti assieme nel  quartiere Tiburtino, che provenivano tutti dalla medesima comitiva di  'balordi'. Il gruppo era veramente una piccola 'banda' dedita a furti,  scippi, rapine, truffe e pestaggi. E il vero leader della 'combriccola'  era proprio Johnny lo Zingaro. Nel dicembre del 1975, a soli 15  anni, commise il suo primo omicidio per rapina, uccidendo un autista  dell'Atac. Fra galera ed evasioni, nel febbraio del 1987 riuscì persino a  ottenere un permesso premio e, poco tempo dopo, nel corso di una fuga a  seguito di un'intercettazione dei Carabinieri, sequestrò un auto con  una donna a bordo, uccise un poliziotto e ne ferì un altro. Finalmente,  quando venne catturato gli fu comminato il primo ergastolo. Ma già nel  1990 riuscì a evadere dal carcere. Nuovamente coinvolto nell'omicidio di  un uomo, nel corso di una rapina tentata presso una villetta di Sacrofano, viene nuovamente catturato e condannato a un secondo ergastolo, anche se risultò assolto dall'accusa di omicidio per il delitto di Sacrofano (per insufficienza di prove, ndr). Non si tratta di un delinquente comune: Mastini  è sempre stato un uomo in grado di uccidere a sangue freddo, un sicario  a cui si poteva commissionare un assassinio come quello di Pasolini, anche se l'interessato ha sempre negato ogni coinvolgimento. Tuttavia, Johnny Lo Zingaro  è sempre stato un personaggio ben diverso, rispetto ai soliti  malavitosi di borgata: spesso recluso in carceri speciali, è entrato in  contatto con detenuti politici, mafiosi e camorristi. Nei siti internet  di due ex detenuti della sinistra extraparlamentare - Franco Bellotto e Paolo Dorigo - viene accusato di essere amico di pericolosi fascisti, in particolare di Gilberto Cavallini, esponente dei Nar, la feroce avanguardia neonazista assai vicina alla banda della Magliana. Dunque, rammentando le frequentazioni dei Borsellino  emerge, ancora una volta, un legame fra l'eversione di destra e la  malavita romana. Perché la verità che si vuol sempre 'aggirare' è che  neofascismo, criminalità comune e piccola malavita organizzata si sono  frequentate e, talvolta, alleate. Nella puntata del programma di Raitre 'Chi l'ha visto?' del 19 aprile 2010, la giornalista Federica Sciarelli si è occupata anche della scomparsa di un altro personaggio legato alla malavita romana, tale Antonio Pinna, di cui si son perse completamente le tracce sin dal lontano mese di febbraio del 1976. La sua Alfa GT, molto simile a quella di Pasolini, era stata infatti ritrovata all'aeroporto di Fiumicino. Il figlio di Pinna, nato da una relazione prematrimoniale e impegnato da sempre in un'affannosa, ma sincera, ricerca del padre, si era rivolto a Silvio Parrello, amico di Pasolini e noto al secolo come 'Er pecetto' del celebre romanzo 'Ragazzi di vita'. Parrello è uno stimato pittore che conosceva Pinna, meccanico e 'asso' del volante di via di Donna Olimpia, in Roma. E stando a quanto ha sempre dichiarato, Pasolini e Pinna si conoscevano molto bene sin dagli anni '50, quando lo scrittore viveva proprio nel quartiere romano di Monteverde. Pochi mesi prima della sua morte, Pasolini aveva frequentato nuovamente il Pinna,  sino a diventarne amico. Poi, dal febbraio 1976, non si ebbe più alcuna  notizia di lui, a parte un episodio risalente al 1979, quando venne  fermato per guida senza patente. Stranamente, il verbale di fermo è  colmo di omissis e in parte 'secretato': perché? Cosa c'entra Pinna con la morte di Pasolini? Parrello ha inoltre raccolto la testimonianza di un carrozziere della zona a cui venne chiesto, dal Pinna stesso, di riparare un'Alfa GT "urtata lungo la fiancata". La vettura risultava anche sporca di fango e corrisponde alla descrizione dell'auto che potrebbe aver investito il corpo di Pasolini. Il rapporto tra l'omicidio Pasolini e la scomparsa di Antonio Pinna sembra piuttosto consistente: il 14 febbraio 1976, data della sparizione di Pinna, era iniziato il processo per il delitto Pasolini. E proprio in quei giorni, i Carabinieri avevano tratto in arresto i fratelli Borsellino, i quali avevano confessato di aver ucciso Pasolini con il concorso di Johnny lo Zingaro. Fermato nel 1979 per guida senza patente, Pinna  ha dunque potuto godere di protezioni 'speciali' per la sua fuga? E chi  lo ha aiutato? Oppure è stato tolto di mezzo anche lui? Parrello non ha dubbi in proposito: la vettura portata da Pinna al carrozziere di Monteverde era quella presente all'idroscalo nella notte del 2 novembre 1975. Probabilmente, lo stesso Pinna  era presente e, comunque, sarebbe stato a conoscenza di molti  particolari. Il pittore è solito rievocare anche il filmato in 8 mm  girato da Sergio Citti, in cui si possono scorgere una cancellata  danneggiata e un 'paletto' di cemento divelto. Secondo la perizia di  parte civile, voluta dalla famiglia di Pasolini ed effettuata dal professor Faustino Durante,  l'auto dello scrittore non presentava segni d'urto, né strisciature  sulla coppa dell'olio o sulla marmitta, mentre il 'frontale' non  mostrava tracce ematiche o di cuore capelluto, a dimostrazione che non  poteva esser stata quell'auto ad aver provocato i danni alla cancellata e  al paletto. Per non parlare delle 'buche', che potevano causare altri  danni riscontrabili agli ammortizzatori, o alla 'scocca' stessa della  vettura. Citti aveva raccolto, inoltre, anche la testimonianza di  un pescatore, anch'egli deceduto, che vide quel che accadde quella sera  e che avrebbe confermato la ricostruzione di Parrello sulla dinamica dell'omicidio: era stata la GT di Pinna ad aver investito Pasolini, urtando, nella fuga, anche un paletto della cancellata.

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