Associazione Fondazione LUCIANO MASSIMO CONSOLI

9 aprile 2010

UN ANNO SENZA LA TATA

Cari Amici,

Mi permetto di postare questo articolo che abbiamo pubblicato ieri sul Secolo in ricordo di una grande femminista e una grande donna, oltre che mia amica nei suoi cinque ultimi anni di vita. Si chiamava Roberta Tatafiore, la Tata per me. E questo articolo mi permetto di dedicarlo, in particolare, a Maya, socia fondatrice della Associazione ‘Fondazione Luciano Massimo Consoli’. Lei sa perchè...

Daniele Priori

Felicità, diversità, libertà. Nel "bauletto ferito" di Roberta Tatafiore troviamo una vitale lungimiranza che vale proprio la pena andare a riscoprire, passati 365 giorni esatti dall'inizio del viaggio senza ritorno iniziato da Roberta con la compilazione del suo memoriale. Comporre una morte. Aveva deciso di intitolare così quel suo estremo, drammatico ma al tempo stesso meditatissimo diario, uno zibaldone di pensieri sulla fine della vita. La parola fine è la traccia scelta da Rizzoli, forse più didascalica ma certo meno epica e letteraria di quanto l'autrice avrebbe voluto, almeno stando alle sue stesse citazioni: da Sylvia Plath ad Amelia Rosselli, fino a quelle ferali Operette morali di Giacomo Leopardi rimaste accanto a lei negli istanti del trapasso. Prima di quelle ultime ore e di quei lunghissimi novanta giorni di "isolitudine" creata con una tetra magia nel cuore della Roma d'inizio 2009, c'era stata però la vita avventurosa, burrascosa, libera prima che libertaria di una protagonista del nostro tempo, una "vagabonda del '900", come ebbe a definirsi in qualche occasione. A chi scrive sono bastati pochi cucchiaini di caffè, zuccherati dalla comune amicizia di Giordano Bruno Guerri, allora direttore di un rinato e futurista Indipendente per dare la spinta a una vera complicità. Era il 2004. Compagnie libertarie di destra, insomma, come erano state, già dal 2000, quelle di Marco Taradash e Giovanni Negri in testa al Polo laico, tentativo riformatore ante litteram, non certo trinariciuti, che non sottrassero tuttavia Roberta dal giudizio finale e tipico: essere diventata fascista. Lei che mai, nonostante la collaborazione e l'attrazione intellettuale, è riuscita a definirsi davvero di destra nel senso di "conservatrice". Etichette false che, tuttavia, non hanno cambiato il senso profondo di una esistenza complicata e affascinante come quella della Tata, così come amava presentarmisi nelle nostre telefonate arrochite dal fumo presente nella sua voce. Una donna che è stata la coscienza oltremodo critica delle donne italiane, il folletto libertario dagli eleganti capelli color argento candido che, partendo dal fronte femminista, è riuscito a superare tutti gli steccati imposti dalla cronaca e dalla storiografia "politicamente corrette" ma non dalla tempesta di pensiero e dalla curiosità di analisi che una ansiosa ricercatrice della verità come è sempre stata lei ha dovuto, quasi per vocazione, continuare a nutrire, come amava dire lei stessa, sparigliando.

La vita e la morte, dunque, il sesso come incrocio di passioni ma anche di interrelazioni umane in molti casi ad opera di prostitute, anzi, semplicemente lavoratrici del sesso, come le chiamava lei, con le quali dialogare, alle quali dare voce attraverso impensabili associazioni, dei veri sindacati nonostante l'Italia bigotta, assieme alle quali compilare una rivista dal titolo magnifico: Lucciole. Forse Roberta Tatafiore è stata essa stessa una lucciola d'intelletto, una di quelle che Pasolini non riusciva più a cogliere dichiarandone la sopravenuta morte. Esattamente la stessa critica che Roberta Tatafiore aveva mosso alle sue "femmine" nella sua svolta a destra, motivo di tante e spesso definitive incomprensioni. Come testimoniava un anno fa proprio la scrittrice Lidia Ravera: «Io non lo so esattamente - sottolineava - perché, a un certo punto, ci siamo allontanate. Lei inclinava verso il centrodestra. Io non riuscivo a spiegarmi perché. Lei diceva che io non capivo un cazzo di politica. E può darsi che sia vero. Io non capivo che cosa ci trovava, lei, in quelle compagini di ipocriti farneticanti. Lei, una delle persone più intelligenti che ho conosciuto nella mia vita.». Puntini di sospensione, come lo spazio politico sospeso, aperto, che infatti, le sue amiche femministe ormai accasate nel centrosinistra non sono riuscite a intravedere e che una corsara come la Tata aveva invece individuato, già dieci anni fa. Un mare di identità e possibilità nel quale Roberta Tatafiore ha navigato come una sfrontata caravella di fronte alle tempeste, senza scendere fino all'ultimo dal ponte e dal timone del suo vascello che andava in una direzione certo lontana dalla deriva, anzi, forse più prossima all'Infinito di leopardiana memoria.

Nelle telefonate datate autunno 2008, quando era già nel pieno la sua ultima avventura giornalistica che la vedeva scorrazzare sul nostro Secolo come "Thelma e Louise", affiancata dalla brava Isabella Rauti, ricordo ancora la sua rabbia in merito alla proposta di legge antiprostituzione del ministro Carfagna e alle conseguenti ordinanze dei sindaci che proprio non le piacevano. Un sentimento che cercavo di stemperare invano, invocando una ragion di Stato che andava oltre la poesia limpidamente libertaria delle strade cantate da De André nella sua Città vecchia. Ma la "nostra" Roberta fremeva non riuscendo a trattenersi dal ribadire quelle idee che affermava con convinzione in libri dal realismo addirittura profetico, pubblicati tra il 1994 e il 1998 con titoli che ben individuavano la forchetta tra le condizioni di libertà e forze e debolezze vere o presunte e soprattutto senza età degli uomini ma anche delle donne. Si trattava di testi come, appunto, Sesso al lavoro. Da prostitute a sex-worker. Miti e realtà dell'eros commerciale (Il Saggiatore) andato a far coppia, poco dopo, con Uomini di piacere. e donne che li comprano (Frontiera).

È proprio il giornalista (e scrittore) Daniele Scalise , uno degli amici più cari del circolo di Roberta, talora così simile alle ambientazioni dei migliori film di Ferzan Ozpetek, prefatore del memoriale già ampiamente citato nello splendido e sentito articolo pubblicato venerdì scorso su queste stesse colonne da Flavia Perina, a ricordarci ulteriormente quanto Roberta le sia mancata proprio in quest'ultimo anno: «Ci saremmo divertiti a discutere di tutti gli scandali a base di escort. Avremmo continuato a coltivare quell'amicizia, quello scambio che durava dal 1984, per decollare poi nell'ultimo decennio. Ho ritrovato una donna fantastica che aveva fatto un percorso politico molto serio, ponderato. Aveva abbandonato la sinistra che trovava tediosa, poco interessante, conformista e poco libera, approdando alla destra libertaria. Quello che mi piaceva di lei era il pensiero creativo che aveva in politica».

Tanto chi scrive, quanto Isabella Rauti, Giordano Bruno Guerri o Luciano Lanna avrebbero infine voluto ancora abbeverarsi a quella fontana di idee a lungo raggio rischiose e poco commerciali quanto, alla fine, vincenti. Magari in una cena, dove mischiare ancora sorrisi, serenità e disperate speranze. Ma evidentemente non c'era più tempo. La morte era matura. Arrivava purtroppo in anticipo rispetto all'ultimo film di Tarantino non prima, però, di quell'Hurtlocker, il bauletto ferito, appunto, così vero da non essere piaciuto agli allibratori da botteghino ma che Roberta aveva visto con occhi diversi, tanto da prevederne quasi, sul Secolo del 29 ottobre 2008, il successo arrivato solo un anno e mezzo dopo con l'Oscar alla regista donna Kathryn Bigelow, autrice di parafrasi geniali tra guerra e vita, amore e morte che andavano molto oltre la banalità del presente e, come è stato per Roberta, addirittura molto oltre lo spiegabile. «Roberta, infatti - come ci fa concludere con lucida sintesi proprio Guerri - è stata una donna che ha avuto la straordinaria fortuna e il merito di vivere come voleva con l'unico limite grosso ma benigno di essere sempre attenta ai bisogni degli amici e delle cause in cui credeva», origini di molte sofferenze da vivere e portare a compimento, anche queste, probabilmente, oltre la ragione e traducibili solo con la libertà che per Roberta è stata davvero il fine ultimo e forse unico dell'intera esistenza.

dal Secolo d'Italia - 7 Aprile 2010, QUELLE "FATE IGNORANTI" ERAVAMO NOI, l'anniversario della morte della Tatafiore occasione per ricordare la sua "tavolata libertaria" (e di destra)

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