Ogni anno centinaia di coppie omosessuali si recano all'estero per sposarsi. Un'opportunità negata in patria e ottenuta, grazie anche all'aiuto di strutture legali, in molti paesi d'Europa. Qualcuno li chiama «esiliati». Molto più semplicemente sono uomini e donne che non accettano di subire un divieto che non sanno spiegarsi e che vivono come un'ingiustizia. E non solo nei loro confronti.
Per Daniele in fondo è stato semplice. Stewart, il suo compagno, è canadese e così quattro anni fa, quando insieme hanno deciso di ufficializzare il loro rapporto hanno approfittato di una vacanza a Vancouver per sposarsi. «E' stato tutto molto facile», racconta oggi. «In Canada quasi in ogni drugstore c'è uno sportello dove è possibile svolgere ogni pratica amministrativa, dall'assicurazione della macchina al matrimonio. Abbiamo riempito un modulo per chiedere la licenza di matrimonio, scelto un posto per la cerimonia e fissato un appuntamento con un pubblico ufficiale, che lì sono un uomo o una donna autorizzati dalla Stato a celebrare l'unione. Una settimana dopo eravamo sposati». La stessa cosa l'hanno fatta il 19 settembre scorso quattro coppie di lesbiche italiane, due romane, una di Napoli e una di Bologna. Tutte insieme si sono sposate a Barcellona, per poi fare rientro in Italia. Anche in questo caso per coronare il loro sogno d'amore è bastato sbrigare le poche formalità richieste dalla legge spagnola, più severa rispetto all'estrema facilità canadese, ma tutt'altro che insormontabili. I problemi, semmai, per tutti loro sono cominciati una volta rientrati in Italia. A Bologna infatti, dove Daniele e Stewart vivono da anni, il loro certificato di matrimonio non vale niente e tutto ciò che in Canada o in Spagna per le coppie omosessuali è un diritto indiscutibile, vale a dire la completa equiparazione alle coppie etero, in Italia ha smesso di esistere nel momento stesso in cui hanno varcato la frontiera. «Il certificato adesso lo teniamo sopra una scaffale della libreria e lo facciamo vedere agli amici, niente di più», racconta amareggiato Daniele.
Coppie in esilio
Si potrebbero chiamare fughe d'amore, ma sarebbe riduttivo e anche ingiusto. Come Daniele e Stewart, e come le otto donne in trasferta in Spagna, sono decine ogni anno le coppie omosessuali che decidono di recarsi all'estero pur di vedere riconosciuto dalla legge il proprio legame con la persona che amano, una possibilità negata in patria. Partono da sole, magari dopo aver letto qualche guida che le informa sulle diverse legislazioni nazionali, oppure dopo essersi rivolte a una delle tante associazioni che forniscono assistenza legale. Ma anche a nuove agenzie matrimoniali per persone omosessuali che promettono in pratica le nozze "chiavi in mano". «Dal 2003 a oggi sono alcune migliaia le coppie di gay e lesbiche che si sono sposate all'estero - spiega Franco Grillini, ex presidente dell'Arcigay oggi responsabile Diritti civili dell'Italia dei valori -. Io li chiamo gli esiliati, quelli che sono dovuti andare in esilio per ottenere un diritto». Di matrimoni tra persone dello stesso sesso in Italia infatti non se ne parla neppure. Qui è difficile perfino arrivare all'approvazione di una legge che finalmente legalizzi le unioni civili, con la conseguenza che a essere penalizzate in questo modo non sono solo le coppie di fatto omosessuali, ma anche quelle etero. E allora piuttosto che subire quella che viene vissuta come un'ingiustizia, si preferisce magari fare qualche sacrificio e andare in giro per l'Europa, ma anche oltre Oceano, per sposarsi o per avere un bambino sfruttando le possibilità offerte - sempre negli altri Paesi - dalla scienza. E questo pur sapendo che una volta rientrati in Italia comincerà un'esistenza piena di ostacoli creati da ottusità burocratiche e dalla curiosità morbosa della gente, che spesso si trasforma in vera omofobia. Eppure nonostante tutto questo non si scoraggiano. Anzi. «Il fatto è che la gente ha urgenza e non aspetta certo la politica», spiega Ivan Scalfarotto, omosessuale e vicepresidente del Pd che nel suo libro «In nessun paese» racconta l'incredibile storia di un paese che non riesce a essere normale neanche sugli affetti. Ma che, nonostante questo, non si ferma. «Devi vivere - prosegue Scalfarotto -. Ognuno di noi ha un orologio biologico che cammina e se vuole avere un figlio non può certo perdere tempo». Dal 2005 a oggi sono almeno cento le coppie omosessuali che si sono rivolte ad Antonio Rotelli perché le aiutasse a sposarsi. E lui non si è tirato indietro. Avvocato, presidente della Rete Lenford, associazione di legali per i diritti delle persone Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali), Rotelli ha scritto tre guide che spiegano come sposarsi in Spagna, Olanda e Inghilterra, cosa prevedono le rispettive leggi nazionali e a quali doveri adempiere per arrivare al matrimonio. «Per due persone dello stesso sesso sposarsi all'estero è meno complicato di quanto si potrebbe pensare», spiega Rotelli per il quale tutto dipende da quale Paese si sceglie. In Spagna ad esempio, dove si sono recate le quattro coppie di donne, la cosa più importante è dimostrare di risiedere nel paese. «Basta prendere in affitto un appartamento, o anche solo una stanza per qualche mese, in modo da poter avere un certificato di residenza - prosegue il legale -. Poi serve un certificato che attesti che la persona che vuole sposarsi è celibe o nubile». Fatto questo è previsto un colloquio con un giudice utile a stabilire che quella di legalizzare l'unione sia davvero una libera scelta. «Il giudice - prosegue il legale - deve anche verificare che non ci siano motivi di convenienza, come ad esempio il tentativo di acquisire la cittadinanza spagnola. Superato anche questo piccolo ostacolo si sceglie il comune in cui sposarsi e si fissa la data». Chiaro che più il comune è grande, come ad esempio Barcellona, gettonatissima dalle coppie omosessuali, più la lista di attesa è lunga, ma si tratta solo di avere pazienza qualche mese.
Ultimi in Europa
Per due omosessuali che si amano sposarsi ormai non è più un problema in quasi tutta Europa. I matrimoni tra persone dello stesso sesso sono infatti riconosciuti, oltre che in Spagna, in Portogallo, Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia, Svezia (dove è previsto addirittura anche il matrimonio religioso). In Inghilterra e Irlanda del Nord esiste invece il Civil Partnership, di fatto un matrimonio a tutti gli effetti solo con un nome differente. Ma regolamentazioni delle coppie di fatto - sia etero che omosessuali - esistono praticamente in tutto il continente: i Pacs in Francia, i Lebenpartnershaft in Germania mentre legislazioni simili ai Pacs francesi esistono anche in Austria, Slovenia, Ungheria. Fuori dall'Ue, invece, in Islanda è legalizzato il matrimonio mentre in Croazia una legge riconosce le unioni civili. Antonio Garrulo, 45 anni, e Mario Ottocento, 38, sono una sorta di pietra miliare del movimento omosessuale. Sono infatti la prima coppia italiana a essersi sposata all'estero. «Il 1 giugno del 2002 all'Aja. Con Mario stavamo insieme dal 1996, avevamo già un rapporto consolidato», racconta Antonio. L'Olanda è stato il primo paese al mondo a legalizzare i matrimoni gay. Ironia della sorte, la legge venne approvata il 1 aprile del 2001, ma era tutt'altro che uno scherzo. Le prime ad approfittare della nuova opportunità furono decine di coppie gay olandesi poi, a ruota, nel paese cominciarono ad arrivare persone da tutta Europa. «Quando sapemmo della legge ci venne subito spontaneo pensare al matrimonio, era giunto il momento - prosegue Antonio -. Non è per il pezzo di carta, però si tratta di un passaggio importante, un gesto di libertà. Noi non sapevamo neanche come sarebbe stato dopo, ma abbiamo voluto farlo lo stesso». Anche la legge olandese prevede che almeno uno dei componenti la coppia sia residente nel paese, quindi Mario partì e affittò per qualche mese una stanza insieme ad alcuni studenti. Il giorno delle nozze con i due italiani c'erano tutti: la madre di Mario, il fratello di Antonio e tutti gli amici. Ma anche un gran numero di giornalisti italiani. «Persino il Tg1 che ci intervistò», ricorda ancora Antonio. L'evento fece scalpore. «Noi viviamo a Latina una città tradizionalmente di destra. Eppure devo essere sincero: al nostro ritorno a casa abbiamo avuto numerose dimostrazioni di solidarietà e amicizia». Il difficile è stato tentare di far riconoscere la loro unione. Quando Antonio e Mario si sono presentati all'ufficio stato civile con il certificato di matrimonio in mano e hanno chiesto che venisse trascritto, sono cominciate le prime delusioni. «Non ci hanno detto di no. Ci hanno spiegato che semplicemente non sapevano cosa fare - racconta Antonio -. Il comune si è rivolto al ministero degli Interni che ha vietato la trascrizione del nostro matrimonio perché 'contrario all'ordine pubblico'. Capisce? Per lo Stato siamo una specie di Bin Laden dei sentimenti». Nel 2004 una sentenza del tribunale di Latina conferma il parere del Viminale e ora Antonio e Mario sono in attesa che sul loro caso si pronunci la Cassazione. Mentre l'Europa procede per la sua strada, la nostra classe politica è ferma al palo e si va avanti tra gli anatemi della Chiesa e le battute omofobe del leghista di turno. «La Chiesa fa il suo lavoro, e quindi non mi scandalizza più di tanto. Il problema è che in Italia abbiamo una classe politica vecchia, incapace di capire che la famiglia è cambiata più negli ultimi quarant'anni che nei mille precedenti», attacca Scalfarotto.
Una sfilza di ddl. Tutti inutili
Basta pensare a che fine hanno fatto i vari disegni di legge sulle unioni civili. Uno dei primi venne presentato addirittura nel 1996 da Nichi Vendola, allora giovane deputato. Seguirono poi, in un crescendo di sigle, i Pacs (presentati in due legislature differenti da Franco Grillini), i Dico (Diritti e doveri dei conviventi) di Rosi Bindi e Barbara Pollastrini, all'epoca ministre del governo Prodi, i Cus (Contratto unioni solidali) dell'allora democratico Cesare Salvi, per finire in questa legislatura con i Di.do.re. (Diritti e doveri di reciprocità dei conviventi) sponsorizzati dal ministro Renato Brunetta. Tutti rigorosamente e puntualmente finiti a prendere polvere dentro un cassetto. Sembra di essere tornati alla fine degli anni '60, quando tutti i paesi in Europa avevano una legge sul divorzio tranne l'Italia. «Il fatto è che siamo considerati cittadini di serie B, anche ammesso che in Italia ci siano ancora cittadini di serie A», si sfoga Daniele che deve fare i conti anche con un altro tipo di problema. Siccome è canadese Stewart, il suo compagno, ha bisogno di rinnovare il permesso di soggiorno: «Ogni volta c'è la preoccupazione di non ottenere il rinnovo. Tutti dicono che per noi omosessuali non c'è nessun problema, perché basta un atto notarile per risolvere ogni disparità con gli eterosessuali, ma non è vero. Non c'è nessun atto notarile che mi permette di vivere legalmente con Stewart». Un giudizio che trova d'accordo anche Antonio e Mario. «L'assurdo è che in Europa i confini non esistono per le merci, ma esistono per i miei diritti», prosegue Antonio. «Non capisco questo accanimento nel non riconoscere le coppie omosessuali. Io, in fondo, se mi sposo non tolgo niente a nessuno».
Carlo Lania
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